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Settimana sociale, quarta serata: “Democrazia in crisi, le associazioni la salveranno?”

E’ toccato a Luca Bertuola, presidente di Partecipare il Presente, che con questo incontro ha aperto il suo ciclo annuale di incontri, introdurre e lanciare il tema della quarta e ultima serata della Settimana sociale dei cattolici trevigiani, “Dopo il 25 settembre: la società civile per ricreare comunità e come reazione alla crisi della democrazia”. L’accento è andato subito all’individualismo del nostro tempo, probabilmente acuito dalla pandemia e dalla crisi. “In questo contesto le associazioni e i corpi intermedi hanno un ruolo centrale, di mediazione – ha detto Bertuola – per passare dall’io al noi, guardando al bene comune”.
Le relazioni sono state curate da Carlo Bordoni, sociologo e saggista, collegato in streaming e da Paolo Feltrin, politologo, già docente di Scienza dell’amministrazione e di Scienza politica. Ha moderato l’incontro il giornalista Daniele Ferrazza.

Comunità e società, due concetti distinti
“Il concetto di comunità è antico – ha spiegato Bordoni – indica un insieme di persone legate fra loro da vincoli forti (di sangue, organizzativi, linguistici, religiosi, economici). Di conseguenza, la comunità non lascia ampi spazi di libertà ai suoi componenti, il vincolo morale è determinante”.
Il concetto moderno di società, come lo intendiamo noi, “compare invece solo intorno al 17° secolo, quando iniziano a prevalere associazioni diverse, senza obbligo di reciprocità: si basa su patti contrattuali, costruiti razionalmente, con vincoli più deboli rispetto alle precedenti comunità. Questo modello di società moderna va in crisi sul finire del secolo scorso e con l’inizio del nuovo millennio. Nasce la cosiddetta “società liquida”, come teorizzato dal sociologo Zygmunt Bauman, dove comunità e società si compenetrano. Individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, mette in crisi i valori, ognuno pensa per sé e vede l’altro addirittura come un nemico”.
Alla domanda se la società moderna si possa ripensare, Bordoni ha detto: “La pandemia ci ha costretto a ricercare i legami sociali, a riprendere legami tipici della comunità. In questo la tecnologia ci ha aiutato. Pensate all’abitudine, molto diffusa durante il lockdown, di far vedere agli altri quello che si stava cucinando, o mangiando; in realtà condividere il cibo (l’etimologia di “compagno” deriva dal latino “cum panis”), significa creare comunità, unione fra le persone, seppure fisicamente lontane fra loro. Insomma, la comunità di oggi è diffusa e si è de-territorializzata”.

Il ruolo di tenuta delle associazioni
“Lo stato attuale della democrazia non è dei migliori”, ha detto Feltrin -. Essa è messa a dura prova in tanti Paesi occidentali, da sempre cuore della democrazia: Italia, ma anche Francia, Germania, Regno Unito, Usa. “Il principio di maggioranza, che noi diamo per scontato per la buona gestione di un sistema, in realtà ha limiti oggettivi. Esso può funzionare solo a determinate condizioni: presenza di adeguati vincoli costituzionali, voto espresso a precisi partiti politici, possibilità di garantire ai cittadini un benessere crescente”.
Vi è poi una discrepanza fra l’agenda popolare, ossia quello che il cittadino chiede al suo Governo (sicurezza, sviluppo, ragionevoli aspettative di equità sociale, poche tasse, efficienza della macchina burocratica), e l’agenda strutturale, ossia quella di cui la politica deve assolutamente tener conto per governare (i vincoli derivanti da relazioni internazionali come Nato, Onu, Ue; il debito pubblico esistente, da contenere; il benessere e lo sviluppo da incentivare).
Il dilemma, secondo Feltrin, “si risolve attraverso una fuga dagli esiti elettorali. In quale modo? Rendendo più stringenti gli accordi internazionali, che limitano la politica nazionale (pensiamo al Pnrr), spostando parte delle decisioni in organismi non controllati dalle politiche (come le Authority), coinvolgendo sempre di più i tecnici”.
“Non è una via soddisfacente, ma è l’unica che vedo percorribile. Inoltre, in tutto questo contesto, gli unici soggetti che veramente resistono, solo le associazioni, mentre i partiti declinano. Le organizzazioni non sono prive di difetti, ma hanno il grande pregio di servire. Si differenziano dal sistema dei partiti perché partono dal basso, operano in periferia, sono un patrimonio del popolo, non delle élite. La loro autentica svolta consiste nel riuscire a trasformare l’attività di servizio in rappresentanza, «mantenendo l’odore di pecora», come disse papa Francesco. (Federica Florian)

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Settimana sociale, terza serata: quei posti vacanti e i lavoratori senza posto

“Un ringraziamento agli organizzatori della Settimana sociale che hanno voluto rischiare questa serata”, con un tema tanto cruciale quanto poco attraente. Le parole di don Bruno Baratto, direttore di Migrantes, hanno introdotto gli interventi di Daniele Marini, docente di Sociologia dei processi economici e trasformazioni del lavoro all’Università di Padova, e Letizia Bertazzon, ricercatrice di Veneto Lavoro. Interventi costruiti attorno al triangolo “italiani, stranieri e lavoro che cambia”. Lo scenario è quello appena presentato dal report su presenza e distribuzione degli immigrati nella provincia di Treviso, dal titolo “Presenze necessarie”. Un’analisi realizzata da Cisl Belluno Treviso, Anolf, Caritas Tarvisina, Migrantes Treviso, cooperative La Esse e Una Casa per l’Uomo. “Il titolo del report sintetizza la percezione di questi ultimi tempi – spiega il gruppo di ricerca che ha realizzato lo studio -: una presenza stabile di migranti che si conferma non solo significativa, ma necessaria, per l’apporto demografico, per il lavoro, ma anche per un complesso di contributi di tipo culturale e umano che concorrono a rendere più vitale il territorio”.
Come fare, allora, perché questa presenza necessaria degli stranieri non crei strappi, lacerazioni, quale opera di cucitura o ricucitura è necessaria per sostenere il nostro vivere civile? “La nostra situazione – ha sottolineato il sociologo Daniele Marini – non è diversa da questa di altri Paesi europei degli anni Ottanta, come Francia e Germania, che però hanno fatto politiche per la natalità e politiche migratorie per gestire e non subire i flussi”. Ora i cambiamenti sono ancora più veloci, “il cambiamento è la nostra nuova normalità”, con il rischio che nella velocità si perdano i propri riferimenti e si crei un processo di polarizzazione, “tra chi ce la fa e chi non ce la fa”, perché spiazzato. “Dobbiamo capire – ha proseguito il docente – che viviamo in un grande condominio globale e tutto ciò che avviene in giro per il mondo ha ricadute su di noi. In primis, i processi di digitalizzazione: tutto è interconnesso” e ciò ha ripercussioni sui nostri processi culturali e cognitivi, e anche sui nostri stili di vita.
Trasformazione del mercato del lavoro, quindi, area di ricerca di Letizia Bertazzon: “Cambia la domanda di professionalità, cambiano i settori occupazionali, le competenze richieste”. Difficile poter dire oggi a un giovane quali siano le opportunità del mondo del lavoro, nonostante si possa vedere che l’Industria sia più traballante del Terziario e dei Servizi che offrono più opportunità, come l’Agricoltura alla ricerca di nuove idee. Abbiamo un mercato dove posti di lavoro rimangono vacanti e lavoratori sono senza lavoro, in un disallineamento di competenze che fatica a trovare l’equilibrio e in cui gli stranieri rimangono la parte più debole e vulnerabile. Un Paese, il nostro, in cui la scuola deve insegnare non a trovare uno specifico lavoro, ma deve preparare i ragazzi al lavoro. (Lucia Gottardello)

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Settimana sociale, una nuova economia per “ricucire il mondo”

“The economy of Francesco. L’impegno dei giovani per un’economia più equa, solidale e fraterna” è stato il titolo della seconda serata della Settimana sociale. L’incontro ha visto dialogare Giampietro Parolin, economista e docente presso l’università Sophia, insieme a due giovani testimoni dell’incontro svolto negli ultimi giorni di settembre ad Assisi.

“Sarebbe ingenuo pensare che a problemi complessi si possano indicare soluzioni semplici o addirittura immediate – ha affermato don Paolo Magoga, direttore della Pastorale sociale e del lavoro. Non è così, ci sarà una lunga notte da abitare, ma la speranza di un pensiero nuovo, giovane, di un’economia fatta di equità, giustizia, rispetto della madre terra, ci fa credere che le energie ci sono per un futuro più umano e solidale”.

Ludovica Montesanto, giovane presente all’incontro tra il Papa, gli economisti, gli imprenditori e gli studenti svolto ad Assisi, ha proseguito: “Vorrei parlarvi del processo che è diventato Economy of Francesco. Noi giovani, fin dal 2019, siamo stati chiamati a pensare a un’economia di pace, che si prenda cura del creato e non lo depredi, un’economia a servizio della persona, rispettosa soprattutto dei più fragili, un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza. C’è stato un grande entusiasmo. Riconosciamo che possiamo avere una forza, una spinta che può portare, a piccoli passi, verso un cambiamento strutturale e non solo di facciata”.

Francesco Polo, anche lui presente ai tre giorni ad Assisi, ha affermato: “E’ uno stile nuovo che non cerca polarizzazioni. Non ci rivolgiamo contro qualcosa o contro qualcuno, ma cerchiamo di metterci a disposizione con le nostre proposte e con uno stile propositivo. Apparentemente sembra che il nostro compito sia ripudiare il mondo che abbiamo, per proporre un cambiamento, ma in realtà ciò che conta per noi è uno sviluppo intergenerazionale, non vogliamo condannare le generazioni precedenti ma lavorare per far emergere il buono che già c’è”.

Giampietro Parolin ha proseguito: “Nella visione di oggi c’è non solo una divisione del lavoro ma anche dell’etica, per cui quando sono un imprenditore, quando sono un economista ragiono in un modo e solo quando svesto i panni dell’uomo economicus provo empatia. Ecco allora che l’Economy of Francesco cerca di rimettere insieme questi pezzi d’uomo. Un’economia diversa esiste. Il cambiamento non avviene perché ci si sveglia la mattina e si dice «si potrebbe fare questa cosa». Avviene perché si è già iniziata una riflessione. Questo movimento è l’inizio di un processo, però dentro un percorso profetico di vita e di pensiero. Siamo abituati a leggere l’economia sempre con gli occhiali con cui siamo abituati a vedere ciò che ci circonda, quindi probabilmente Francesco, Ludovica e i giovani di Economy of Francesco, con questi nuovi occhiali scopriranno che ci sono molte realtà di persone, di imprese, di associazioni, di politici che vivono con prospettive nuove, etiche, eque. Solo che oggi non c’è una massa critica, cioè non si raggiunge mai un livello tale per cui il sistema cambi”. (Elena Merotto)

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Settimana sociale a Treviso, il prof. Melloni e il “filo” dell’unità

“Fratture e lacerazioni ci stanno davanti con drammaticità mai vista”. Sono parole pronunciate, lunedì 3 ottobre, dallo storico Alberto Melloni, nel corso della prima serata della 36ª Settimana sociale dei cattolici trevigiani, intitolata “Ricucire. Lacerazioni e nuove connessioni”. In questo contesto, i cristiani a prendere sul serio “ago e filo”, ripartendo da una seria formazione, anche nelle singole competenze, da una capacità di relazione, innervata anche dall’attuale fase sinodale, in vista di un’autorevolezza che è il contrario dell’irrilevanza.

Prima dell’intervento di Melloni, c’era stata l’introduzione del vescovo, mons. Michele Tomasi, che entrando nel tema di quest’anno ha detto:“Ci sono lacerazioni di tanti tipi. Nel nostro mondo, ambientali, internazionali, politiche, locali… E anche nella Chiesa. Gli strappi provocano dolore e disagio”. Si tratta di prendere coscienza di questo, mentre invece “spesso facciamo finta che tutto vada bene, che basti il maquillage. Non è così”. Invece, “prepariamoci a vivere pienamente questo nostro tempo, vivere le ragioni di una speranza, ritessere e cucire per dare vita a una serie di legami che ci daranno una prospettiva di futuro, sapendo che alla resurrezione si arriva attraverso la croce e il dono pieno di sé”.

Al prof. Melloni è stato chiesto di delineare il tema delle fratture in prospettiva storica, e con esse il modo di affrontarle, ieri e oggi, da parte dei cattolici.

E non si poteva che partire dall’oggi, dalle pastiglie di iodio, distribuite – fatto senza precedenti – alla scuola europea di Bruxelles nel timore di un attacco nucleare da parte della Russia, dalle parole fortissime del Papa all’Angelus di domenica scorsa, paragonabili a quelle di Giovanni XXIII durante la crisi di Cuba, ma non capite, addomesticate e “caramellate”, da una guerra “nata prima sugli altari e poi sui campi di battaglia, per la nostra negligenza ecumenica”.

Melloni, nel suo denso e ricco intervento, si è poi addentrato sui passaggi storici vissuti dal cattolicesimo italiano:uno Stato nato “contro la Chiesa”, un mondo cattolico che, espulso dalla sfera pubblica crea una “ecclesiosfera”, fino a diventare “ruota di scorta” con il patto Gentiloni, firmato in appoggio ai liberali in funzione anti-socialista. Dopo il fascismo, i cattolici sono protagonisti nel nuovo “Nation building”, nella costruzione della Nazione, attraverso la scrittura della Costituzione. Rilevante (lo storico ha raccontato vari episodi e retroscena) il ruolo dei giovani “professorini” dell’Università Cattolica, anche se in modo diverso rispetto alle aspettative del fondatore, padre Agostino Gemelli, che pensava di creare la classe dirigente di uno “Stato confessionale, di tipo franchista”. I suoi allievi vanno in un’altra direzione e lui li lascia liberi, perché così fa chi sa creare una classe dirigente. Dopo la fine della Dc, in corrispondenza con la stagione della presidenza Ruini nella Conferenza episcopale italiana, emerge il tema della “rilevanza”, dei cattolici, “questione – afferma Melloni – che io non ho mai capito. Il tema è quello dell’autorevolezza e, per venire al tema della Settimana sociale, di sapere “chi cuce e con cosa”.  Davanti a noi, nella società, le fratture sono tante:Nord e Sud, la borghesia che non esiste più, le fratture di genere, la diseguaglianza.

I cattolici dovrebbero riprendere “il balzo in avanti” fatto fare alla Chiesa da papa Giovanni con il Concilio, e impegnarsi in un cammino sinodale dal quale “dipende il futuro del Paese”. Un’affermazione sorprendente, ma motivata da una presenza ancora diffusa, di 6 milioni di praticanti domenicali, dall’esigenza di portare “unità nella Chiesa”. Senza questa unità, “è il Paese a essere nei guai”. (Bruno Desidera)

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“Prese il pane, rese grazie”, incontro per il Tempo del Creato e anteprima della Settimana sociale

Si è tenuta lunedì 26 settembre, nell’auditorium San Pio X, a Treviso, la serata anteprima della 36ª Settimana sociale dei cattolici trevigiani, che era insieme anche l’evento culminante degli appuntamenti previsti per il Tempo del Creato. L’incontro, intitolato “Prese il pane, rese grazie. (Lc 22, 29). Il tutto nel frammento”, ha visto dialogare mons. Michele Tomasi, vescovo di Treviso, e Dino Boffo, già direttore di “Avvenire”, riprendendo il titolo del messaggio dei Vescovi italiani per la Giornata del Creato.

“Il tema del pane, filo rosso che ha accompagnato questo mese del Creato, è tema di grande attualità – ha affermato don Paolo Magoga, direttore della Pastorale sociale e del lavoro. Lo abbiamo sviscerato come frutto della terra che con i poveri del mondo lancia il suo grido a ciascuno di noi. Grido che con il nostro impegno non possiamo tradire. Ma non basta udire, bisogna anche agire. Proprio il pane sintetizza le tre indicazioni lanciate dal Papa ai giovani in occasione dell’Economy of Francesco (vedi articolo a pagina 13): l’attenzione per i poveri, il lavoro e l’incarnazione. Prendere il pane, spezzarlo e condividerlo ci aiuta a riconoscere la dignità di tutte le cose che si concentrano in un frammento così nobile: la creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente. In quel frammento c’è la terra e l’intera società. Ci fa pensare anche a chi tende inutilmente la sua mano per nutrirsi, perché non incontra la solidarietà di nessuno, perché vive in condizioni precarie: c’è qualcuno che attende il nostro pane spezzato”.

“Non è un azzardo pensare che il ritorno del tema del pane – ha affermato Dino Boffo – abbia a che fare con il riesplodere in contemporanea di una serie di tragedie che accompagnano l’umanità da millenni, come i drammi della siccità, dell’epidemia, della guerra e della fame. Sono sciagure che esistono da sempre e che oggi si ripropongono fatalmente insieme. «Quante cose sa dirci un pezzo di pane». A esso stiamo oggi tornando, pur senza averlo deliberato. Nelle stagioni del Covid, lievito e farina sono andati letteralmente a ruba dagli scaffali, suscitando stupore in quanti consideravano la pratica della panificazione avviata ormai al tramonto. Ma il tema del pane è ritornato in questi mesi specialmente a motivo della guerra scatenata dalla Russia ai danni dell’Ucraina. La morsa della siccità, le conseguenze del Covid, il dramma delle guerre stanno producendo non solo perdita di biodiversità, desertificazione, migrazione dei popoli ma anche nuove forme di sottosviluppo, costi alle stelle e fame. In molti paesi si sta, infatti, passando dalla difficoltà di accesso al cibo al rischio di indisponibilità vera e propria. Ogni anno, poi, le governance del mondo si riuniscono e puntualmente assumono impegni troppo flebili nei confronti del pianeta, che per più poi non mantengono. Non c’è più tempo. E se la grande politica non si muove, deve farlo la società civile di ogni dove, dobbiamo farlo noi: dal basso. Non si tratta di fare altri partiti ma di costringere i politici ad agire. E’ una mobilitazione dal basso quella che va intrapresa, vestendo abiti virtuosi che possano rigenerare quel nostro modo di stare al mondo che ormai fa acqua da ogni parte. Noi credenti dobbiamo e vogliamo «tornare al gusto del pane», che vuol dire onorare la preghiera del Padre nostro, insegnataci da Gesù. Ebbene, come seguaci di questo Dio del pane siamo chiamati a innervare per la nostra parte, da autentici protagonisti, il movimento di ribellione e di riscatto che è in atto per spezzare sul tavolo del mondo il pane con tutti, nessuno escluso.”

“Ascoltare quello che dice Dio al suo popolo riguardo al pane è una esperienza molto antica e importante, è l’esperienza della manna nel deserto – ha affermato mons. Tomasi -. Questo dono dal cielo ha delle istruzioni importantissime, va raccolta e distribuita in parti uguali, nessuno deve temere di riceverne di meno e di confrontare il suo con il piatto del vicino. Questa è anche l’attitudine dell’amore di Dio nei confronti di ciascuno, se ci ama completamente ci darà quello che ci serve e se qualcuno ha di più è perché avrà bisogno di più in quel momento. L’uguaglianza non è dare a tutti la stessa parte di risorse, ma dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno. Il pane e il cibo dovrebbero essere beni indisponibili, beni primari; invece, prima che il grano comperato alle borse dei materiali agricoli si sposti, viene rivenduto cinque volte e il prezzo cresce perché ci sono compensazioni e speculazioni. L’eucaristia, che noi cristiani viviamo come momento culmine del nostro credere, è il momento in cui cielo e terra si uniscono e il pane, la richiesta unica, la manna come pane del cielo, rappresenta tutto. Papa Francesco nella «Laudato si’» dice che il Signore al culmine del mistero dell’incarnazione volle raggiungere la nostra umanità con un frammento di materia, non dall’alto ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare lui. Essere grati deve essere l’attitudine fondamentale di ogni cristiano, chi non è grato non è misericordioso, non sa prendersi cura e diventa predone e ladro. Chi non è grato può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, in un teatro di guerra. Spezzare il pane la domenica è esercizio di gratitudine”.

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Settimana sociale: “Ricucire, lacerazioni e nuove connessioni”

“Di fronte alle ferite e agli strappi di questi ultimi mesi, siamo consapevoli di trovarci di fronte a una società lacerata, smarrita e impaurita. L’impegno dei cristiani, anche alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, è quello di individuare strade per «ricucire» una realtà sfilacciata, tramite la creazione di nuovi legami e connessioni. Questo non per tornare al passato – che non ritorna – ma per costruire una nuova trama di relazioni, a partire dal «filo» della fraternità, dell’amicizia sociale, di una nuova economia”. Parte da questa constatazione la 36ª Settimana sociale dei cattolici trevigiani, intitolata “Ricucire, lacerazioni e nuove connessioni”. Promossa, come gli anni scorsi, da La vita del popolo, Azione cattolica, Ufficio diocesano di Pastorale sociale e Lavoro, Meic e Partecipare il presente, la Settimana sociale, in raccordo con gli eventi “Il tempo del teatro”, rappresenta “il lancio” del calendario annuale del Network per il Bene comune. L’evento, nel corso di cinque serate (promosse insieme a varie realtà) si interroga su queste sfide, lanciando idee e proposte che saranno riprese, da diverse angolazioni e approcci, durante tutto l’anno, attraverso le realtà che aderiscono al “Network”.

Dopo la “serata anteprima del 26 settembre, la prima serata sarà lunedì 3 ottobre. “Fratture, lacerazioni, il compito dei cattolici: dalla storia del ventesimo secolo alle sfide del tempo presente” è il tema che sarà trattato dallo storico Alberto Melloni, professore ordinario di Storia del cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia.
Martedì 4 ottobre il titolo della serata sarà “The Economy of Francesco. L’impegno dei giovani per un’economia più equa, solidale e fraterna”.
Previsto l’intervento del prof. Giampietro Parolin, economista dell’Università Sophia, con interventi e testimonianze dei giovani trevigiani partecipanti all’incontro di Assisi convocato dal Papa (22-24 settembre. La serata riprenderà i primi frutti dell’incontro di Assisi, puntando a individuare le sue ricadute locali e gli spunti d’impegno, soprattutto per le nuove generazioni.
Lunedì 10 ottobre si riprende con “Strappi (in)evitabili, cuciture possibili… Italiani, migranti e lavoro che cambia”, con il sociologo Daniele Marini (Università di Padova) e Letizia Bertazzon, ricercatrice di Veneto Lavoro. L’incontro è promosso in collaborazione con Caritas, Migrantes, Cisl, La Esse, Una casa per l’uomo, ed inserito anche nel programma del Festival dello sviluppo sostenibile.
Martedì 11 ottobre si conclude con la serata, promossa in collaborazione con Partecipare il Presente, “Dopo il 25 settembre: la società civile per ricreare comunità e come reazione alla crisi della democrazia”. Intervengono il politologo Paolo Feltrin, già docente di Scienza dell’amministrazione e Scienza politica alle Università di Firenze, Catania e Trieste, e il prof. Carlo Bordoni, sociologo e saggista. A parte la serata anteprima (che si tiene al Pio X) le altre quattro serate si svolgeranno nella sala Longhin del Seminario vescovile.

Serata anteprima: lunedì 26 “Prese il pane, rese grazie”, con mons. Tomasi e Boffo
E’, insieme, momento culminante degli appuntamenti previsti nell’ambito degli incontri “Il tempo del creato”, e la “serata anteprima” della 36ª Settimana sociale dei cattolici trevigiani.
Lunedì 26 settembre, nell’auditorium San Pio X di Treviso (viale D’Alviano) si tiene la serata “Prese il pane, rese grazie” (Lc 22, 29). Il tutto nel frammento”. Un dialogo tra mons. Michele Tomasi, vescovo di Treviso, e Dino Boffo, già direttore di “Avvenire”. L’incontro riprende il titolo del messaggio dei Vescovi italiani per la Giornata del Creato.
Al tempo stesso, l’incontro si collega alla Settimana sociale e al titolo di quest’anno.

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Settimana sociale, quarta serata: la denatalità cambia il welfare. Ha così preso il via il Cantiere Welfare di “Partecipare il Presente”

Una questione strutturale ed epocale, un’altra “transizione” con cui dobbiamo fare i conti. Si è tornati a discutere di calo demografico e delle sue implicazioni per il mondo del lavoro e per lo stato sociale nella quarta e ultima serata della Settimana sociale dei cattolici trevigiani, mettendo a fuoco i temi correlati del welfare, dell’occupazione, del sistema pensionistico. “Si tratta di un grave problema che necessita di scelte, politiche e risorse a ogni livello per invertire la tendenza”, ha precisato introducendo l’incontro Luca Bertuola, presidente di Partecipare il Presente. L’ultima serata della Settimana sociale ha infatti coinciso con l’apertura del ciclo autunnale della scuola sociopolitica dell’associazione che mette insieme numerose realtà della società civile e del mondo economico trevigiano. Il tutto, in continuità con la Settimana sociale, nell’ambito del Network per il bene comune. “Continuiamo a proporre questo calendario di appuntamenti, perché crediamo nell’importanza della coesione sociale come volano di futuro. E per questo esprimiamo anche la nostra solidarietà alla Cgil per quanto accaduto nei giorni scorsi”. “Nel post pandemia abbiamo bisogno di ripristinare il nostro sistema di welfare, rispetto alle prestazioni di sostegno al reddito, secondo condizioni di solidità strutturale, equità, impatto sulla natività, per creare condizioni di benessere di lungo periodo – ha sottolineato Antonio Pone, direttore Inps Treviso, dopo aver delineato il quadro delle misure messe in campo lo scorso anno -. Insomma, dobbiamo attrezzarci: non ci saranno più solo crisi endogene, cioè che nascono all’interno del sistema; sarà dunque importante l’universalità delle prestazioni imparando a fare «bene e presto» e tenendo conto delle coperture”. “Il tema della denatalità impatta su tanti ambiti, non ultimo quello dell’organizzazione del lavoro e del sistema pensionistico – ha ribadito anche Agar Brugiavini docente universitaria a Ca’ Foscari -. E questo impone di formulare un welfare aderente ai nuovi bisogni, alle prospettive che si vanno delineando”, che tenga conto dei motivi economici, sociali, culturali che hanno generato il calo demografico e di molti elementi che concorrono: l’organizzazione del lavoro, la questione femminile, il tema dei carichi di cura, le mancate politiche di conciliazione. “Questo è il tempo di investire in modo sostenibile e strutturale, non per assistenzialismo ma per il futuro”. “La natalità dovrebbe essere dunque l’obiettivo strategico del nostro Paese – ha concluso Pone – anche accompagnato da un forte connotato simbolico. Serve uscire dalla logica delle mance, verificare il reale impatto delle misure messe in campo, copiare bene dagli stati che hanno saputo invertire i trend”. Un tema ripreso con forza anche dal moderatore della serata, Adriano Bordignon, presidente delll’Ebicom e del Forum regionale delle famiglie.
“Continuiamo pertanto a credere nella profezia sulla felicità – ha concluso il vescovo Michele Tomasi -, quella che leggiamo nelle pagine del profeta Zaccaria: «Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano, per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze». Continuiamo cioè a credere che un sogno così possa essere motore per la nostra società, l’economia, le istituzioni, per l’impegno delle persone e quello educativo che la Chiesa può assumere”. (Francesca Gagno – La Vita del popolo)

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Settimana sociale, terza serata: l’ambiente in Costituzione, ma serve una nuova cultura

“La Repubblica tutela l’ambiente, gli ecosistemi e la biodiversità nell’interesse delle nuove generazioni”. Così si vuole modificare l’articolo 9 della Costituzione attraverso la proposta di legge costituzionale che ha tra i firmatari il senatore Andrea Ferrazzi. Il politico veneziano fa parte della Commissione ambiente del Senato ed è intervenuto lunedì 11 ottobre alla terza serata della Settimana sociale dei cattolici trevigiani. La frase introdurrebbe le tematiche ambientali fra i principi fondamentali della Costituzione. La legge prevede inoltre la modifica dell’articolo 41, che introduce per la libertà dell’iniziativa privata il limite della tutela della salute e dell’ambiente. La proposta è stata approvata in un primo passaggio da entrambi i rami del Parlamento e terminerà il suo iter di legge costituzionale, con la seconda lettura, entro primavera.

Di “ambiente in Costituzione e progettazione territoriale” si è parlato dunque durante l’appuntamento di lunedì sera della Settimana sociale. Hanno acceso il dibattito il senatore Ferrazzi, appunto, e il professor Paolo Pileri, docente di Progettazione e Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano.

Al centro del confronto la constatazione di non essere di fronte a un’emergenza climatica, ma a una crisi strutturale che produce i suoi effetti in tutto il mondo, che crea ingiustizia sociale e che nei prossimi anni scatenerà crisi geopolitiche e nuove guerre. I relatori hanno sottolineato la rilevanza fondamentale, in questo quadro, di un’enciclica come la Laudato Si’ di papa Francesco che introduce i temi dell’ecologia integrale e invita a portare avanti una rivoluzione culturale “coraggiosa” e ad avere l’“onestà” di mettere in dubbio l’attuale modello di sviluppo. Ed è proprio sull’urgenza di una cultura ambientale che si è focalizzato l’intervento di Pileri, cultura necessaria alla pianificazione urbana, all’arresto del consumo di suolo, allo scardinamento di interessi consolidati, ma in primo luogo a comprendere i paradigmi essenziali della questione ambientale, come ad esempio cosa sia il suolo: “In un solo cucchiaio di terra preso in un bosco possiamo trovare nove miliardi di unità di vita che si tengono insieme, dunque il suolo è biodiversità ed è un ecosistema da tutelare”.

A seguire la cultura, le tecnologie, che possono darci le risposte che ancora ci mancano per affrontare la crisi climatica. Sempre di più, oggi, la società civile tenta di adottare comportamenti virtuosi e di fare la propria parte per la salvaguardia dell’ambiente, ma alle volte sembra di trovarsi in un vicolo cieco: l’occidente che fino a ieri ha avvelenato il mondo ora prova a ridurre le immissioni e pretende che facciano lo stesso anche i Paesi in via di sviluppo; si promuovono auto, bici, monopattini elettrici senza riflettere sulla provenienza dell’energia; si passa alle riunioni sulle piattaforme online per ridurre gli spostamenti non necessari senza considerare che se Internet fosse una Nazione, sarebbe nella top ten delle più inquinanti al mondo. Ma allora che soluzione abbiamo per impedire l’imminente catastrofe climatica? Naturalmente promuovere le buone pratiche, incentivando una mobilità lenta e sicura, portando le ciclabili anche nei Paesi più poveri e facendo sì che le istanze ambientali siano fonte di sviluppo economico e di crescita. E prendersi cura del territorio, come ha ribadito il prof. Pileri: “Per la transizione energetica si parla di 15 gigawatt in 5 anni prodotti dal fotovoltaico, ma non si dice dove questi impianti devono essere messi, cioè sui tetti, bastavano due parole per evitare il rischio di occupare 18 mila ettari di suolo con i pannelli, 18 mila ettari sono tre volte il consumo nazionale annuo di suolo”. Nei prossimi anni inoltre sarà fondamentale il modo in cui produrremo l’energia e il raggiungimento di un’autonomia energetica, che libererebbe da tensioni geopolitiche e conflitti. Il senatore Ferrazzi indica una strada nello sviluppo di nuove tecnologie: nuovi materiali e soprattutto l’idrogeno verde, un’energia a emissioni zero che oggi non è ancora sostenibile a livello economico, ma che potrebbe diventarlo presto investendo in ricerca tecnologica. Sullo sfondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza, visto dalla politica come un’enorme opportunità di sviluppo, ma che il mondo accademico e dell’attivismo ambientale rappresentato da Pileri non considera sufficiente senza che il Paese compia anche un grosso investimento in una cultura ecologica. (Manuela Mazzariol – La Vita del popolo)

 

 

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Settimana sociale, seconda serata con la prof. Mio: “L’azienda sostenibile è quella che crea valore”

ArrayLa cosa più brutta che possa capitare a un incontro dove cerchi risposte è che siano poste delle domande proprio a te e che tu debba fornirle, anche se in anonimato. E’ iniziata con questo piacevole, a dir la verità, “colpo di teatro”, la seconda serata della 35ª Settimana sociale dei cattolici trevigiani, introdotta da Gianfranco Pozzobon a nome del Meic, presente il vescovo Tomasi, e incentrata sul tema “Sostenibilità: sfida e compito necessario per gli attori sociali”. A parlarne la professoressa Chiara Mio, dell’Università Ca’ Foscari nella quale tiene corsi legati alla programmazione e controllo, alla misurazione delle performance e alla responsabilità sociale d’impresa. Autrice del libro “L’azienda sostenibile”, editori Laterza, presiede la banca FriulAdria-Credit agricole.

Un’esperta titolata, quindi, per parlare di sostenibilità e del suo significato. Perché di sostenibilità parlano tutti, “è una parola abusata”, ma non sempre con cognizione. Ecco allora le domande che hanno interpellato i presenti nell’auditorium del collegio Pio X a Treviso e anche quelli collegati in streaming e nelle sedi predisposte sul territorio. “Se tutto diventa sostenibilità, allora niente è sostenibilità”, ha affermato perentoria la docente. In realtà una definizione chiara, messa a punto dagli studiosi, di sostenibilità c’è e non riguarda in senso stretto l’ambiente e l’uso delle risorse, come invece risposto dalla maggioranza dei presenti, bensì è “la creazione di valore per gli stakeholder (chiunque abbia interesse, ndr) nel lungo termine”.
Da qui si è sviluppata la puntuale spiegazione della professoressa Mio, “non c’è sostenibilità se non c’è una creazione, ma di valore, da parte dell’uomo. Creare valore non vuol dire creare profitto o creare utile. E non tutto ciò che ha valore, ha mercato anche in azienda”. L’esempio che ha portato la relatrice è stato quello della reputazione di un’azienda, che ha un grandissimo valore, pur non avendo un mercato. Ha valore per chi deve andarci a lavorare, ha valore per chi deve acquistare i suoi prodotti, ha valore per chi vuole investirci… Eccoli i portatori di interesse. Se inquina o ha molti dipendenti con contratti a tempo determinato, il suo valore, senza dubbio, diminuisce.
Finora la aziende sono state misurate con il profitto, “oggi invece dobbiamo misurare le aziende in tema di sostenibilità attraverso la governance, l’impatto ambientale e l’impatto sociale”, negli investimenti che devono riguardare tre dimensioni, quella economica, quella ecologica e quella etica, le quali in un’azienda sostenibile devono essere sempre presenti e avere un equilibrio.
Ha creato qualche “rumors” tra i presenti, pensando ad aziende conosciute o anche ad alcune finite in cronaca recentemente, l’affermazione della dottoressa Mio, riguardo alla preoccupazione che un’azienda deve avere rispetto all’impronta ambientale che va dalla produzione della materia prima fino alla smaltimento, avendo a cuore quindi tutta l’intera filiera, compresi fornitori e collaboratori “etici”. “Perché deve farlo? Perché è buona”, ha interpellato la docente. In realtà perché l’ottimizzazione di risorse si rivela un vantaggio per i costi dell’azienda. E ha assicurato che anche in Italia, anche nel nostro Nordest fatto di piccole e medie aziende, ci sono esempi di realtà virtuose che non pensano esclusivamente al profitto, ma a condividere un progetto imprenditoriale che dà valore e contribuisce a cambiare il territorio, se non il mondo…
Ma, c’è un ma…“L’azienda sostenibile ha bisogno di un ecosistema sostenibile: istituzioni che facciano il loro lavoro, consumatori con sensibilità, associazioni datoriali che diano indicazioni comuni ai singoli settori. In questo senso la Pubblica amministrazione dovrebbe dare l’esempio”. E ha indicato una via per i cattolici che vogliono impegnarsi: “E’ un momento da sfruttare per la consonanza che c’è tra le aziende che dal di dentro vogliono cambiare e la dottrina sociale della Chiesa”, per cambiare il modo di produrre in senso sostenibile, per l’uomo e per il pianeta. (Lucia Gottardello)

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Zuppi alla Settimana sociale: “Il nemico è l’individualismo”

Il mutamento d’epoca c’è. E va abitato. Senza nostalgie per i tempi passati e per la “cristianità perduta”. Reagendo, soprattutto, alla vera pandemia dei nostri tempi, che è quella dell’individualismo, della ricerca del benessere fine a se stesso, senza pensare all’esistenza dell’altro. “In questo senso, Il Covid-19, con il suo carico di sofferenza, ci ha provocato”. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha aperto con questo invito la trentacinquesima Settimana sociale dei cattolici trevigiani. L’appuntamento – promosso dalla Vita del popolo, l’Azione cattolica di Treviso, il Meic, l’Ufficio diocesano di Pastorale sociale, con la collaborazione di “Partecipare il presente” e del Collegio Pio X – affronta quest’anno il tema “Transizioni – La sfida della sostenibilità in un mutamento d’epoca”. Un titolo che fa da sfondo anche al calendario del Network per il Bene comune, creato da varie realtà che nel territorio promuovono iniziative di formazione sociopolitica.
Ad ascoltare l’arcivescovo, nell’auditorium San Pio X, un pubblico attento; ma anche coloro che hanno partecipato all’appuntamento in uno dei sei luoghi del territorio diocesano allestiti dall’Azione cattolica (Asolo, Fonte, Castelfranco Veneto, Scorzè, Casale sul Sile e Zero Branco); e coloro che hanno seguito la diretta attraverso YouTube.

 

“La Dottrina sociale e la profezia di Francesco: strumenti per abitare il mutamento d’epoca” il tema affidato al cardinale Zuppi.
Il suo intervento si è dipanato proprio a partire da alcuni termini del titolo della serata: il mutamento d’epoca, il verbo “abitare”, che “rischia di sapere un po’ da ecclesialese, ma è comunque pertinente e azzeccato”, il magistero di Francesco e la sua profezia.
“Mutamento d’epoca” è un’espressione che anche il Papa ha usato. Ci troviamo di fronte, ha ammesso il porporato, di fronte a un mondo complesso, di fronte al quale davvero, come ha detto Francesco, siamo tutti sulla stessa barca. “E questo vale sempre, non solo per la pandemia, non possiamo pensare, appunto, di vivere sani in un mondo malato”.
Il cambiamento d’epoca “è una cosa seria, ci chiede di essere all’altezza”. Ci chiede, appunto, di “abitare” questo tempo. Di “capire quello che sta succedendo, di scrutare i segni dei tempi”. Un esercizio che non si fa in modo accademico, ma con l’amore.
Uno dei segni che scorgiamo con nitidezza, ha fatto notare l’arcivescovo, è “la fine della cristianità, che non significa fine del cristianesimo o della Chiesa. E’ così, che ci piaccia o no, il Papa lo ha detto in un discorso alla Curia romana. Non è detto che sia una cosa solo negativa, perché con la cristianità finiscono alcune acquisizioni, alcune incrostazioni”.
Certo, questa situazione, che si è verificata in modo repentino, nell’arco di alcuni decenni, ha una causa profonda: “Non abbiamo capito la forza dell’individualismo, la ricerca del benessere individuale, mentre invece il cristianesimo ci provoca, per alcuni aspetti «ci rovina la vita». Oggi tutti i diritti sono coniugati in modo individuale, senza il «noi»”.
Proprio qui entra in gioco la “profezia” di Francesco, delineata nell’enciclica Fratelli tutti, che mette in evidenza quello che oggi è il primo ruolo della Chiesa cattolica. Sfidare, appunto, profeticamente, questa deriva individualista, vivendo il Vangelo. Il cardinale ha citato Cassiodoro, il quale afferma: “Sarò mio quando sarò stato tuo”. “Io non sono senza l’altro, è l’idea centrale di Fratelli tutti”, ha aggiunto il cardinale Zuppi. I cristiani, quindi, non sono chiamati, come qualcuno vorrebbe, a estraniarsi da questo tempo, a pensare di attendere che i barbari se ne vadano. “In realtà, anche i monasteri del Medio Evo erano luoghi aperti, di accoglienza, e poi l’individualismo non conosce zone franche, entra dappertutto”. Piuttosto, occorre “ascoltare, fare un pezzo di strada assieme alle persone”, senza pensare immediatamente a una riconquista. Piuttosto, si tratta di “svelare la presenza di Dio” tra gli uomini, come afferma il Papa in Evangelii Gaudium.
Entra, qui, un’altra espressione di papa Francesco: la Chiesa come “ospedale da campo”, capace di chinarsi sulle sofferenze, per farsi essa stessa convertire. L’attenzione ai poveri diventa, allora, un caposaldo: “Del resto, saremo giudicati su questo. E quando il Papa parla di periferie non intende solo quelle geografiche, ma tante situazioni esistenziali. Penso alle crescenti realtà di solitudine, alle tante persone che hanno problemi di relazioni”.
In ogni caso, ha concluso il cardinale Zuppi, “ogni crisi è generativa”. Accadrà anche stavolta. Un’opportunità è questa attenzione alla “sostenibilità”, altra parola chiave di questa Settimana sociale, anche i riferimento al Piano nazionale di rinascita e resilienza: “Oggi si tratta di costruire qualcosa che cambierà le nostre vite nei prossimi vent’anni”. Una sfida nella sfida.

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